È iniziato lo scorso 13 gennaio il confronto fra Consiglio, Commissione e Parlamento europei sulla proposta di istituzione di un salario minimo europeo.
Il Trilogo, che riunisce i rappresentanti delle tre istituzioni comunitarie, è chiamato a negoziare sulla misura nata dalla proposta di direttiva relativa a salari minimi adeguati nell’Unione europea presentata dalla Commissione europea nell’ottobre 2020 al fine di stabilire prescrizioni minime a livello dell’Unione per garantire sia che i salari minimi siano fissati a un livello adeguato, sia che i lavoratori abbiano accesso alla tutela garantita dal salario minimo, sotto forma di salario minimo legale o di salari determinati nell’ambito di contratti collettivi. La proposta fissa la soglia minima del salario ad almeno la metà della paga media lorda. La proposta di Direttiva è, nelle intenzioni della Commissione europea, finalizzata a migliorare le condizioni di lavoro assicurando ai lavoratori dell’Unione l’accesso alla tutela garantita dal salario minimo fornita da contratti collettivi o salari minimi legali adeguati, in modo tale da consentire una vita dignitosa ovunque essi lavorino.
Il confronto avviato sotto la presidenza di turno francese, segue il via libera alla direttiva da parte del Parlamento europeo, che ha votato in favore l’11 novembre 2021, e del Consiglio Ue, il cui ok alla proposta della Commissione è arrivato dalla riunione dei ministri europei per il Lavoro e le Politiche Sociale del 6 dicembre 2021. Secondo il Ministro del Lavoro Andrea Orlando l’introduzione del salario minimo darebbe «una risposta forte a due fenomeni che caratterizzano il mercato del lavoro: il dumping salariale e la presenza di molti lavoratori poveri», che «purtroppo segnano il mercato del lavoro italiano».
L’Italia infatti, così come Danimarca, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia, non dispone di un meccanismo di salario minimo legale e la protezione del salario minimo è fornita esclusivamente dai contratti collettivi.
Quanto “costerebbe” il salario minimo europeo
Il Centro studi di FederTerziario ha calcolato che qualora il salario minimo fosse fissato a 9 euro lordi per ora, il 21% del totale della forza lavoro (pari a 2,9 milioni di lavoratori) sarebbe interessato dall’innalzamento e tra questi la maggioranza si concentrerebbe tra gli apprendisti (59,5%) e gli operai (26,2%), nelle attività dei servizi di alloggio e ristorazione (27,1%), del noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese (34,3%), nelle attività artistiche, sportive di intrattenimento e divertimento (29,2%) e nelle altre attività di servizi (61,6%), tra le donne (23,1%) e tra i giovani sotto i 29 anni (32,6%).
L’incremento complessivo del monte salari, calcola il Centro studi, è stimato in circa 3,2 miliardi di euro. «Ovviamente i costi derivanti dall’aumento dei salari ricadranno sulle aziende, soprattutto sulle PMI, fisiologicamente più esposte a fenomeni di cambiamento, ma soprattutto di aumento dei costi aziendali» spiega il Prof. Francesco Verbaro, presidente del Centro studi e per questo, prosegue, «Federterziario propone che le aziende in generale, e le PMI in particolare, vengano accompagnate e sostenute nella fase di transizione attraverso sistemi di decontribuzione e detassazione degli incrementi retributivi, in modo da consentire un graduale allineamento delle retribuzioni agli standard fissati dal salario minimo», invitando a «cogliere l’occasione per aprire contestualmente un confronto con le parti sociali per disegnare una riforma che riduca il cuneo fiscale, che in Italia grava sul costo del lavoro per circa il 46%, e che potrebbe, ben più che il salario minimo stesso, determinare un aumento della domanda e dei consumi interni».
Alessandro Franco: «Più controlli contro il lavoro nero»
FederTerziario mette in guardia anche sul rischio che l’innalzamento di alcuni salari possa aumentare il ricorso al lavoro nero ovvero a forme di lavoro irregolare. Secondo il Segretario generale della Confederazione, Alessandro Franco, «spesso nel nostro Paese il vero problema è stato quello di riuscire ad attivare e rendere efficaci strumenti volti a garantire l’effettivo rispetto delle norme in materia di lavoro e in questo senso, l’introduzione di un salario minimo non risolverebbe, di per sé, il problema di adeguare i salari più bassi, perché rimarrebbe irrisolto il nodo centrale del controllo sull’effettivo rispetto della misura “legale”, dati i fenomeni di “nero” e “grigio” presenti nel mercato del lavoro. Per scongiurare tale rischio – dichiara Franco – sarà necessario dotare gli organi ispettivi di regole certe e risorse economiche ed umane sufficienti a combattere tutti i fenomeni elusivi che, oltre a negare il diritto ad una retribuzione dignitosa e proporzionata, configurano una vera e propria forma di concorrenza sleale foriera di effetti negativi su tutto il sistema economico».
I dati Eurostat
Secondo i dati Eurostat aggiornati al 1 gennaio 2022, in tredici paesi dell’Ue i salari minimi mensili sono inferiori a 1.000 euro: Bulgaria (332 euro), Lettonia (500 euro), Romania (515 euro), Ungheria ( 542 euro), Croazia (624 euro), Slovacchia (646 euro), Repubblica Ceca (652 euro), Estonia (654 euro), Polonia (655 euro), Lituania (730 euro), Grecia (774 euro), Malta (792 euro) e Portogallo (823 euro). In Slovenia (1.074 euro) e Spagna (1.126 euro) il salario minimo era di poco superiore a 1.000 euro al mese. Mentre nei restanti sei Stati membri il salario minimo era superiore a 1.500 euro al mese: Francia (1.603 euro), Germania (1.621 euro), Belgio (1.658 euro), Paesi Bassi (1.725 euro), Irlanda (1.775 euro) e Lussemburgo (2.257 euro).