di Nicola Patrizi e Francesco Verbaro
Uno spettro si aggira tra i palazzi delle amministrazioni italiane, quello della paura di non riuscire a utilizzare le risorse del Pnrr, e non solo. Con onestà intellettuale molti dirigenti e amministratori pubblici si stanno chiedendo come potranno mai spendere (e bene) tante risorse, se la performance registrata negli ultimi decenni, per somme minori, è stata poco brillante e a tratti disastrosa.
La preoccupazione è ben fondata se si considera che ai circa 220 miliardi del Pnrr vanno sommate: le risorse dei fondi strutturali “tradizionali” ( ancora quote importanti della 2014-2020 e della nuova 2021-2027) e quelle del React Eu, per un totale potenziale che si aggira intorno ai 340 miliardi di euro da spendere entro il 2029, di cui circa 300 stimabili entro il 2026. Inoltre, i finanziamenti previsti nel Pnrr saranno messi a disposizione su base semestrale e solo a fronte dell’effettivo conseguimento degli obiettivi intermedi previsti, secondo la sequenza temporale concordata. Non si tratta di fare decreti, ma di gestire.
Nell’attuazione dei Fondi strutturali, gli addetti ai lavori sanno che il “sistema pubblico italiano” ha trovato nel tempo scappatoie e alchimie amministrative e finanziarie, come i progetti “sponda o coerenti”, o l’innalzamento del tasso di cofinanziamento nazionale per abbassare i target della quota comunitaria e le continue riprogrammazioni, con il ricorso ai Programmi complementari (Poc e Pac) che fanno da contenitore a risorse non spese e soprattutto meno monitorate. Dal 2016 a oggi, la pubblica amministrazione centrale e le Regioni coinvolte nell’attuazione dei Fondi strutturali 2014-2020
(Pon e Por), hanno consentito di realizzare interventi, con molta fatica, mediamente per non più di 5 miliardi l’anno. Nei prossimi 5 anni stiamo invece scommettendo su una capacità di spesa di circa 300 miliardi!
Come farà il sistema pubblico a creare le condizioni necessarie ad assicurare una spesa di circa 60 miliardi l’anno? Uno sforzo pari a oltre 10 volte la performance di spesa raggiunta nell’ultimo lustro.
Tutto dipenderà dalla politica e da come sarà attrezzata la Pa, in termini di organizzazione, processi, informatizzazione e competenze. In merito serve una consapevolezza maggiore, bipartisan, che porti ad adottare velocemente tutte le misure necessarie. Il futuro del nostro Paese dipende dalla capacità amministrativa che sapremo schierare.
Il recente tentativo di reclutamento delle prime risorse specialistiche di supporto alla Pa non ha sortito gli effetti desiderati. A fronte di una richiesta di alte professionalità e competenze specialistiche avanzate, sono stati offerti inquadramenti e stipendi non proporzionati, non competitivi rispetto a competenze non facilmente rinvenibili sul mercato. La semplificazione nei concorsi ci permetterà di coprire i posti vacanti in organico, ma non di avere i tecnici per attuare il Pnrr. Diventa essenziale creare un’area di tecnici e specialisti con un trattamento economico pari ai quadri del settore privato, che comunque devono essere attratti non solo con un trattamento economico di mercato, ma con percorsi formativi e carriere tipiche dei migliori datori di lavoro.
Consapevoli, come ci ricordano ormai con insistenza da anni i Rapporti Excelsior (Unioncamere Anpal), che il
mercato del lavoro italiano soffre della mancanza di capitale umano con competenze Stem, fattore che si sta rilevando un bottleneck per il rilancio dell’economia. Anche il settore pubblico dovrà preoccuparsi, come datore di lavoro, dell’orientamento scolastico e universitario e della qualità del capitale umano, non potendosi più permettere di non reclutare competenze tecniche.
Questo richiede un investimento di risorse da parte della Pa sulla formazione universitaria e specialistica. Per questo, il percorso dovrebbe essere quello di avere più scuole specialistiche nella Pa per formare i profili tecnici. Un errore averle soppresse. Fondamentali le collaborazioni con fondazioni e la partecipazione in Accademy. Ma tutto questo non si realizza in un giorno.
Diventa pertanto inevitabile, finché non si rivedono inquadramenti e organizzazione, far affidamento sulle tecnostrutture e le assistenze tecniche, da anni utilizzate dalle amministrazioni quando si tratta di gestire i fondi europei.
Nel frattempo, però, occorre pensare alla presenza di uffici speciali e di esperti, oggi mancanti, in grado di supportare attività amministrative e politiche sempre più complesse. Oggi non paghiamo soltanto anni di blocco delle assunzioni, ma il prezzo di un reclutamento generico, meramente quantitativo, e l’aver trascurato le “competenze”. Per questo è l’ora di pensare anche a una formazione mirata e specialistica, investendo nelle specializzazioni. Se non cambiamo la macchina amministrativa ora che abbiamo da spendere tantissimi miliardi per rilanciare e sviluppare il Paese quando mai lo faremo?