“Le donne sono le ultime a entrare nel mondo del lavoro e le prime a uscire, serve un piano nazionale di incentivi e di tutela per superare il divario di genere, soprattutto al Sud dove la situazione è ancora più grave”. Le parole di Emanuela D’Aversa, responsabile dell’ufficio relazioni industriali di FederTerziario, sintetizzano la profonda disparità di genere relativa all’accesso nel mondo del lavoro, alle condizioni retributive e al raggiungimento di posizioni apicali. Considerazioni che si rivelano nel gender equality index, un indicatore sviluppato dall’European Institute for Gender Equality per misurare il complesso concetto di uguaglianza di genere in campo economico e sociale, che vede l’Italia al 14esimo posto tra gli Stati dell’Ue, con una performance di 3,6 punti inferiore rispetto alla media.
“FederTerziario promuove ormai da anni delle proposte per ridurre questo gap – sottolinea D’Aversa -, chiedendo un impegno più concreto sul fronte del lavoro con la possibilità di rendere strutturali benefici e incentivi legati all’assunzione e alla stabilità lavorativa delle donne, ma anche attraverso l’introduzione di incentivi legati all’autoimprenditorialità, con la previsione di percorsi formativi che contribuiscano a ridurre il gap delle competenze digitali e finanziarie. A questo proposito consideriamo necessario un generale ampliamento dei beneficiari della formazione finanziata per le donne disoccupate e inoccupate. Bisogna, inoltre, prevedere misure dedicate al welfare di prossimità e maggiori servizi socio-assistenziali, come asili nido e strutture per anziani e disabili. Necessario, inoltre, l’ampliamento del congedo obbligatorio per i padri e la percentuale di indennità in caso di congedo parentale”.
A fronte di una generale differenza di base del tasso di occupazione maschile e femminile nella fascia di età tra i 25 e i 54 anni (-19,9% a sfavore di quest’ultimo), un’elaborazione dell’ufficio relazioni industriali di FederTerziario, sulla base di dati Istat e dell’Istituto nazionale per le analisi delle politiche pubbliche, certifica che le donne occupate con due figli sono il 57,8% contro il 91,6% degli uomini che si trovano nella medesima situazione familiare. Un dato che risalta ulteriormente se si prendono in considerazione le dimissioni volontarie per genitori con figli fino ai tre anni: il 72,8% del totale ha riguardato le donne. Nello specifico, analizzando i dati elaborati da FederTerziario derivati da uno studio dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, emerge che le ragioni specifiche addotte dalle donne che hanno lasciato il lavoro riguardano essenzialmente motivi familiari: il 41% per difficoltà legate alla mancanza dei servizi di assistenza, il 7,1% per esigenze di cura dei figli.
“Un altro capitolo su cui stiamo lavorando come organismo datoriale – evidenzia la responsabile dell’ufficio relazioni industriali – riguarda il reddito: servono maggiori tutele per professioniste e imprenditrici e un’azione concreta per abbattere il differenziale retributivo nominale annuo. I numeri sono impietosi e illustrano un’Italia che viaggia su due binari differenti, pure quando le competenze e le professionalità sono le medesime”.
Valutazioni che, espresse in valore assoluto, definiscono tutto il peso di questa disparità: nel settore privato le donne con qualifica impiegatizia hanno percepito mediamente 10mila euro in meno all’anno rispetto ai colleghi uomini, nell’ambito pubblico, considerando il periodo compreso tra il 2014 e il 2021, il differenziale retributivo annuo tra uomini e donne è stato di 5.200 euro.