Nel Mezzogiorno d’Italia il sorpasso tra il numero di pensioni erogate e quello degli occupati è già una realtà. Mentre a livello nazionale il rapporto è di uno a uno, nel Sud e nelle Isole le pensioni pagate sono 7.209.000, mentre gli addetti sono 6.115.000.
Un risultato preoccupante, come sostengono dall’Ufficio studi di Cgia Mestre, che dimostra con tutta la sua evidenza gli effetti provocati in questi ultimi decenni da tre fenomeni strettamente correlati fra di loro: la denatalità, l’invecchiamento della popolazione e la presenza dei lavoratori irregolari. La combinazione di questi fattori sta riducendo progressivamente il numero dei contribuenti attivi e, conseguentemente, ingrossando la fila dei percettori di welfare.
Questa differenza non solo sottolinea le sfide economiche, ma ci invita a considerare soluzioni sostenibili per garantire la stabilità e la crescita economica nelle regioni meridionali. Sono necessari investimenti mirati, politiche che favoriscano la creazione di posti di lavoro e un approccio olistico per affrontare le dinamiche demografiche.
Ma come eliminare il gap? Innanzitutto, cercando di contenere o reprimere il lavoro nero. Secondo l’Istat i soggetti che svolgono lavoro in nero ammontano a circa 3 milioni e che ogni giorno svolgono mansioni nei campi, nelle fabbriche e nelle abitazioni degli italiani. È necessario incentivare ulteriormente l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro, rafforzare politiche che incentivano la crescita demografica e allungare la vita lavorativa delle persone. A completare il pacchetto di azioni necessarie, l’implementazione di programmi nel mondo dell’istruzione e della formazione.