Più pensionati che occupati con il divario, l’ennesimo, che divide le regioni del nord con quelle del sud Italia. È l’ufficio studi della Cgia di Mestre a scattare una fotografia del Paese sottolineando come, nel Meridione, si paghino più pensioni che stipendi. Diverse le ragioni che negli anni hanno contribuito a creare tale disparità fra territori ma è il forte tasso di denatalità a incidere maggiormente. Il calo demografico, infatti, ha ridotto negli anni la popolazione in età lavorativa, aumentando di conseguenza l’incidenza degli over 65 sulla popolazione complessiva.
Tra i diversi settori quello ricettivo potrebbe accusare il colpo
Sempre secondo la ricerca condotta da Cgia Mestre, alcune categorie potrebbero risentire dell’eccessiva presenza di over 65 nei prossimi anni, ricevendo dei contraccolpi economici tutt’altro che positivi. Una propensione alla spesa molto più contenuta della popolazione più giovane e una società costituita prevalentemente da anziani minaccerebbero infatti un ridimensionamento del giro d’affari del mercato immobiliare, dei trasporti, della moda e del settore ricettivo (HoReCa).
I dati: Sicilia la peggiore, Lombardia prima tra le regioni “virtuose”
Tenendo conto del saldo delle regioni italiane nella differenza tra il numero di pensioni erogate e il numero di occupati, le situazioni più “squilibrate” si verificano in Campania (saldo pari a -226 mila), Calabria (-234mila), Puglia (-276mila) e Sicilia (-340mila). Nel centro-nord, invece, solo Marche (- 36mila), Umbria (- 47mila) e Liguria (-71mila) presentano una situazione di criticità. A registrare segnali positivi le altre regioni con le “virtuose” Lombardia (+658mila), Veneto (+291mila) ed Emilia-Romagna (+191mila).
Lo studio Svimez-Università di Catania: la Sicilia (e il Mezzogiorno) nuovo motore di sviluppo per l’Italia
E se da un lato lo studio della Cgia evidenzia dal punto di vista previdenziale una frattura tra nord e sud, una ricerca eseguita da Svimez e Università di Catania sostiene che per il Mezzogiorno ci sono nuove possibilità di sviluppo e crescita. Il Pnrr rappresenterebbe «un’occasione storica per recuperare il Mezzogiorno e farne per davvero un “secondo motore” economico del paese, che possa ridare fiato alle locomotive sempre meno trainanti del Nord», si legge nella ricerca “Politiche attive e sistema delle imprese. La Sicilia polo di attrazione del Mediterraneo”.
Dal raffronto di un campione di piccole medie imprese manifatturiere siciliane e un campione nazionale di aziende del settore, sempre seconda la ricerca Svimez-Università di Catania, emerge una maggiore crescita media annua di lungo periodo sia lato fatturato che lato forza lavoro. Tra il 2010 e il 2019, infatti, lo sviluppo delle aziende della manifattura siciliana tra 10 e 500 addetti è stata del 3,9%, dello 0,3% superiore alla media nazionale; se si considerano solo le imprese sopra i 50 addetti, addirittura dell’1% in più (+4,7 contro +3,7).
Discorso analogo anche per l’occupazione dove la crescita media annua degli addetti nelle aziende del manifatturiero siciliano è stata del 4,5 contro il +2,9 medio italiano.