Il mondo del lavoro è davvero cambiato per sempre? Questi ultimi 3 anni lasciano pensare che la risposta è sì. Dopo oltre due anni di pandemia, lo smart working continua ad affermarsi e molte aziende stanno adottando in via definitiva un modello di lavoro ibrido, che alterna a giorni in ufficio anche giorni di lavoro da remoto.
Nuovi modelli di lavoro
Osservando il fenomeno con più attenzione, ci si accorge di cambiamenti ancora più profondi, che riguardano soprattutto il significato che le persone danno al lavoro e non solo la sua organizzazione. Insomma, l’innovazione tecnologica, insieme ad altre congiunture, hanno facilitato l’affermarsi di nuovi modelli di lavoro da remoto e smart working. L’emergenza sanitaria da un lato ha fermato a lungo i viaggi internazionali ma, dall’altro, ha definitivamente reso mainstream il lavoro da remoto. Da un lato, le aziende l’hanno accettato e incoraggiato, dall’altro le persone l’hanno interpretato in senso più ampio, guardando ai propri bisogni profondi.
I digital nomad o nomadi digitali
Già prima dell’emergenza Covid-19, c’erano persone che sceglievano di modificare totalmente la propria esistenza, respirando aria di libertà e avventura, senza avere la necessità di timbrare il cartellino in un luogo predefinito: i digital nomad o nomadi digitali, ovvero tutte quelle persone che, sfruttando le potenzialità e le possibilità offerte dal digitale, decidono di svolgere il loro lavoro da un luogo qualsiasi del mondo, vivendo da “nomadi”.
Due sono le condizioni che li distinguono: la possibilità di viaggiare quando vogliono e quella di svolgere la loro professione ovunque desiderino e con pochi mezzi: un pc, un cellulare, una connessione internet.
Mentre il mondo del lavoro italiano si accinge ad assorbire questo nuovo modo di vivere, in altri Paesi la situazione è in uno stato un po’ più avanzato. Per questo motivo, l’Italia è diventata una vera e propria meta per i nomadi digitali, che hanno l’opportunità di visitare borghi e meraviglie per lunghi periodi, evitando il vincolo delle ferie e, spesso, anche il sovraffollamento dei luoghi di interesse, privilegiano una maggiore flessibilità e a ritmi più lenti.
La nuova frontiera dello smart working: il south working
Il south working è quel fenomeno che vede un sempre maggior numero di lavoratori in modalità smart working lasciare le città del nord per trasferirsi nelle regioni del sud, spesso ricongiungendosi alla propria famiglia e tornando alla propria terra natìa.
Una migrazione al contrario, un fenomeno che non solo ha permesso a tanti meridionali con nostalgia di casa di tornare al paese d’origine, ma ha anche dato la possibilità a chi vedeva il mare una volta l’anno, di trasferirsi in una qualsiasi località marittima continuando a lavorare, appunto, in modalità agile.
Il flusso di lavoratori verso le regioni meridionali comporta una serie di effetti per il diretto interessato, ma anche e soprattutto per il territorio: prima di tutto un aumento dei consumi perché tutti quei lavoratori che dal nord si trasferiscono al sud producono benefici per tutte le attività del luogo.
I vantaggi sono infatti soprattutto economici, con la possibilità di spendere cifre nettamente inferiori per l’affitto prima di tutto, ma anche per beni e servizi che, tra le città del nord e i paesi del sud, presentano differenze di prezzo spesso molto marcate.
Un’opportunità per i piccoli borghi italiani
La pandemia ha portato molte persone a lasciare le città, per sfuggire al contagio. Tra i tanti aspetti negativi, però, gli ultimi anni hanno visto emergere due tendenze positive:
– il potenziamento e la diffusione dello smart working in settori e organizzazioni che non avevano mai provato a implementare un paradigma di lavoro agile e flessibile
– un generale interesse per le aree rurali e una lieve attenuazione del fenomeno di spopolamento, che da decenni caratterizza la maggior parte dei piccoli comuni italiani (più di 5.500).
I piccoli centri, da nord a sud, da est a ovest, hanno accolto qualche lavoratore in fuga dalla città, dimostrando come nelle aree centrali, come anche in quelle periferiche o marginali, sia possibile lavorare, anzi è possibile farlo meglio. Nei paesi le persone hanno trovato nuovi spazi e tempi che prima ignoravano o non conoscevano.
Molti hanno scoperto la bellezza di avere un giardino o di essere circondati dalla natura, imparando ad apprezzarla. Altri hanno realizzato che in città sprecano troppo tempo, tra spostamenti in metropolitana o code in automobile. C’è poi una particolare intesa tra i locali, fatta di collaborazione e solidarietà. Quando si cammina per le vie del borgo si respirano accoglienza, tradizioni e storia.
Lavorare in questi luoghi, davanti ai propri devices, è identico a farlo in città, ma allo stesso tempo completamente diverso. Cambiano la cornice, i profumi, le abitudini, i ritmi e, di conseguenza, l’atteggiamento e il benessere dei singoli. L’arrivo di nuove persone, anche se poche, in un borgo, è un elemento importante per il borgo stesso. Nuovi abitanti portano vita, energia, lavoro, ricchezza e forniscono all’amministrazione locale la possibilità di ragionare su nuovi o migliori servizi: dai trasporti, all’educazione, per arrivare allo sport o a eventi culturali.
Come tutti gli importanti cambiamenti, anche questo richiede tempo e cospicui investimenti. Lentamente stiamo andando verso quello che in molti chiamano future of work. Le tante risorse del PNRR, abbinate alle nuove modalità di lavoro, possono portare i piccoli comuni a divenire territori attivi e attrattivi, senza perdere la loro originalità.
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